Stelle tardive. Sonetti. Candele.

Novembre, croce e delizia. Scendo giù, come Persefone, la luce lascia il posto al buio e mi inoltro nella quiete apparente.

Tutto tace, tutto è immobile: delizia. Sono senza coordinate: croce. La memoria, frammentata come un lungo sogno, si risveglia.

Le linee delle mie mani sono solchi attraversati da altre mani. Il buio è solenne. Accendo una candela, mi ricorda una stella.

E lo sognavo, e lo sogno,

e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,

e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,

e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.

Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo

un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,

e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,

e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.

Non mi occorrono le date: io ero, e sono, e sarò.

La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della

[meraviglia

solo, come orfano, pongo me stesso,

solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi

di mari e città risplendenti tra il fumo.

E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.

(Arsenij Tarkoskij)

Johnny Cash canta il suo cuore da un vecchio giradischi. I hurt myself today. Accendo un’altra candela, è una fiamma antica, è un sonetto di Shakespeare.

XXXIII

Full many a glorious morning have I seen,

Flatter the mountain-tops with sovereign eye,

Kissing with golden face the meadows green,

Gilding pale streams with heavenly alchymy:

Anon permit the basest clouds to ride,

With ugly rack on his celestial face,

And from the forlon world his visage hide

Stealing unseen to west with this disgrace:

Even so my Sun one early morn did shine,

With all triumphant splendour on my brow,

But out alack, he was but one hour mine,

The region cloud hath mask’d him from me now.

Yet him for this, my love no with disdaineth,

Suns of the world may stain, when heaven’s sun staineth.

Spesso, a lusingare vette, vidi splendere

sovranamente l’occhio del mattino,

e baciar d’oro verdi prati, accendere

pallidi rivi d’alchimie divine.

Poi vili fumi alzarsi, intorbidata

d’un tratto quella celestiale fronte,

e fuggendo a occidente il desolato

mondo, l’astro celare il viso e l’onta.

Anch’io sul far del giorno ebbi il mio sole

e il suo trionfo mi brillò sul ciglio:

ma, ahimè, poté restarvi un’ora sola,

rapito dalle nubi in cui s’impiglia.

Pur non ne ho sdegno: bene può un terrestre

sole abbuiarsi, se è così celeste.

(Traduzione di Eugenio Montale)

Percorro la strada all’inverso. Sono un osso di seppia. C’è una flebile luce dietro le quinte del palcoscenico, il sipario non ha forza di calare sulle onde, non ancora… e Johnny Cash continua a cantare il suo cuore.

Meri Borriello

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